Fabio Viola

Play. Videogame, arte e oltre

Quando i videogiochi sono diventati la decima forma d’arte? Quando lo spectator è diventato spectAuthor.

Ce lo spiega così Fabio Viola, videogamer, produttore e creatore di videogiochi, intervenuto nella seconda puntata di “Libri In Accademia” per presentarci il catalogo della mostra Play. Videogame, arte e oltre. Ad introdurlo la professoressa Maria Stella Bottai, docente di Linguaggi dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Frosinone, attraverso una nota biografica: dall’età di sette anni, cioè da quando i suoi genitori gli regalano un “Commodore 64”, si può dire che Fabio Viola non abbia mai smesso di coltivare questa passione, prima da accanito giocatore e poi da cultore della materia. E’ riuscito a trasformare la sua ricerca in lavoro: collabora con le grandi aziende del settore come consulente per progettarne o implementarne i prodotti. Da anni insegna nelle Accademie e nelle Università argomenti quali game designer, cultura del gioco e trasformazione digitale dei beni culturali.

Nell’intervento di oggi ci ha introdotti nel meta linguaggio dei videogiochi, che si presentano sempre e più come un prodotto artistico dei nostri tempi, nutrendosi di arte figurativa e quindi di cinematografia, di fotografia, di musica e di danza. Un prodotto della collaborazione di molte figure professionali: designer, game artist, programmatori, esperti di musica e di marketing. Come la fotografia prima e il cinema dopo, anche i videogiochi hanno dimostrato nel tempo di potersi attribuire un ruolo nelle arti, ritagliandosi uno spazio importante anche nel linguaggio multimediale degli artisti contemporanei.

Nella mostra Play. Videogame, arte e oltre, tenutasi a Torino presso la Reggia di Venaria e curata dallo stesso Fabio Viola insieme al Direttore Guido Curto, si esaminano i videogiochi come decima forma d’arte: in dodici sale della reggia i videogame sono accostati e dialogano coi capolavori della pittura del passato e del presente, che spesso hanno ispirati i creativi per la narrazione e la struttura dei loro giochi. Un percorso espositivo che spinge gli spettatori a riflettere sull’impatto culturale e sociologico di questo nuovo linguaggio visivo.